Vegetariani e vegani sono più sensibili alla sofferenza

La dieta modifica i circuiti cerebrali associati alle emozioni

Vegetariani e vegani, cioè coloro che non si cibano di alcun prodotto di origine animale, sono più sensibili alla sofferenza rispetto a chi non lo è: ecco il risultato di una ricerca pubblicata sull'illustre rivista scientifica internazionale PLoS (“Public Library of Science”) One il 26 maggio 2010.

 

La ricerca è stata condotta dai ricercatori dell'Ospedale San Raffaele di Milano (Unità di neuroimaging quantitativo; Istituto di neurologia sperimentale, INSPE) in collaborazione con colleghi delle Università di Ginevra e Maastricht. I dottori Massimo Filippi e Mara Rocca hanno coordinato e diretto lo studio.

 

Massimo Filippi è un esperto internazionale nell'uso della risonanza magnetica applicata alla neurologia clinica e ricopre posizioni rilevanti in comitati e società scientifiche sia nazionali sia internazionali. È vegano e socio fondatore di Oltre la specie, associazione che promuove circuiti cerebrali assun'ideologia antispecista, ugualitaria al fine di riconoscere e difendere i diritti di tutti gli animali (sia umani, sia “non-umani”). Come afferma lo stesso dottor Filippi, «vivere da antispecisti significa, da un lato, optare per una vita che si impegni ad eliminare dal mondo quanta più sofferenza possibile, diventando vegani e rifiutando ogni prodotto di derivazione animale e, dall'altro, far chiarezza sul fatto, come si alludeva in precedenza, che oppressione animale e oppressione umana sono inestricabilmente correlate e che, quindi, non è possibile pensare di passare da presunzioni gerarchiche a favore di presunzioni ugualitarie senza considerare l'animale, pena la ricaduta in qualche altra forma di illibertà e di sfruttamento».

 

La ricerca ha dimostrato che i vegetariani e i vegani si pongono in maniera diversa, nell'immediato, nei confronti della sofferenza umana e animale se paragonati alle persone onnivore: l'attività encefalica, ociati alle emozioni di coloro che hanno escluso dal proprio menu carne (e derivati) animali, va ad incidere in modo diverso nei circuiti neurali rispetto a quella degli onnivori.

 

Il dottor Massimo Filippi e la dottoressa Mara Rocca hanno studiato 60 persone: 20 onnivore, 19 vegetariane e 21 vegane. I soggetti hanno dovuto visionare immagini di esseri umani e animali sofferenti (bambini denutriti nei lager, animali maltrattati, cavie nei laboratori per sperimentazioni scientifiche). Mentre le persone guardavano queste immagini, i dottori controllavano tutte le loro reazioni grazie alla risonanza magnetica funzionale, una tecnica di imaging biomedico «non-invasiva che fornisce una mappa delle aree cerebrali funzionalmente eloquenti»; in altre parole, la risonanza magnetica funzionale «permette di mappare quali aree cerebrali si attivano durante l'esecuzione di un determinato compito» (www.neurochirurgia-udine.it).

 

Le conclusioni della ricerca sono state molto chiare. I vegetariani, ma soprattutto i vegani, hanno attivato in maggior misura le aree del lobo frontale del cervello, quelle associate allo sviluppo e alla percezione di sentimenti empatici che ci permettono di giudicare e valutare, se paragonati ai soggetti onnivori sia che le scene di sofferenza riguardassero gli uomini sia che le scene di afflizione interessassero gli animali. È emersa una certa differenza anche tra vegetariani e vegani. Illustra il professor Filippi: «Durante l'esperimento, i vegetariani presentavano una maggiore attivazione del cingolo anteriore mentre i vegani attivavano maggiormente il giro frontale inferiore». Il giro frontale inferiore è un'area di estrema importanza per il cervello: è la zona associata alla difesa di fronte alle emozioni. I vegani impiegano pochi meccanismi di difesa dalle emozioni e perciò si può dire che, molto probabilmente, essi si immedesimano di più con gli altri uomini, ma anche con gli animali rispetto sia ai vegetariani sia agli individui onnivori. Il professor Filippi conclude inoltre che: «Lo studio dimostra che le scelte etiche hanno la capacità di rimaneggiare i circuiti cerebrali e che il cervello può dunque subire modificazioni plastiche in base alle esperienze individuali. Non solo. Vuol dire che negli umani esistono circuiti neurali che si attivano nel momento in cui sentimenti empatici vengono estesi anche ad individui di altre specie che condividono con noi la capacità di soffrire».

 

Nicolò Marcolongo

(nicolo.marcolongo@universi.it)